COMPETENZE PROFESSIONALI PER L’AMBIENTE E LA SOSTENIBILITA’

Mercoledì, 09 Ottobre 2013 00:00

COMPETENZE PROFESSIONALI PER L’AMBIENTE E LA SOSTENIBILITA’

 

 

Immaginare, progettare e, soprattutto, prevedere, i processi che porteranno al paesaggio del futuro, al paesaggio, cioè, del nuovo millennio (millennio, che, per inciso, è appena iniziato), con particolare riferimento alle sue “componenti naturali” (biotiche ed abiotiche) ed ad agli obiettivi per la sua sostenibilità, oltre che per quelli necessari alla ripresa economica e sociale, di medio e lungo termine (tanto per intenderci, dei prossimi 15 ÷ 30 anni) è, sinceramente, un obiettivo, assai arduo.

 

Partendo, però, da un’analisi delle numerose criticità esistenti, a livello ambientale, normativo e programmatorio, è possibile, tuttavia, proporre nuovi criteri di sostenibilità, basati sulla presenza dell'uomo, quale elemento centrale della “tutela attiva” del territorio, dell’ambiente e del paesaggio ossia di quei “patrimoni” naturali, normalmente considerati “beni comuni”.

 

 

ELEMENTI DI CONFRONTO ED APPROFONDIMENTO

 

In Puglia, negli ultimi decenni, si sono verificati fenomeni progressivi di dispersione urbana, una crescita del consumo dei suoli, aumenti della impermeabilizzazione e della cementificazione nelle aree urbane e periurbane (cd sprawl urbano che ha riflesso i tipici modi di fruire e percepire, lo spazio territoriale, della società dei consumi), a cui ha fatto da contraltare, il progressivo e drammatico trend di abbandono delle zone interne.

 

 

Oggi, nei territori extraurbani la conservazione del paesaggio è seriamente minacciata dalla forte crisi dell'agricoltura pugliese, la grande "macchina" che ha garantito e garantisce sopravvivenza ed identità al paesaggio rurale, con le imprese agrarie, della nostra penisola, che reggono, a fatica, il confronto con il mercato, anche per effetto della bassa congiuntura internazionale e della nefasta situazione economica nazionale.

 

L'attuale modello di salvaguardia dei valori “percettivi/visuali” e di quelli “naturalistici”, orientato, prevalentemente, alla limitazione delle attività antropiche, può equilibrarsi con la proposizione, a livello urbano ed extraurbano, di modelli sostenibili basati sull'integrazione del verde con creazione di “reti ecologiche” di connessione strategica tra spazio urbano e territorio rurale.

 

Solo riconnettendo lo spazio urbano al suo territorio rurale si può affrontare, strategicamente, la chiusura dei cicli dei rifiuti, dell’acqua, dell’alimentazione (cd filiere corte, a km 0) e delle fonti energetiche rinnovabili ossia la riqualificazione della connettività ecologica e del paesaggio.

Si pensi, esemplarmente, ad una gestione territoriale, con approccio “bottom-UP”, tesa alla riqualificazione ecologica delle periferie cittadine, cronicamente affette da gravi patologie come il degrado, l’abusivismo edilizio, il dissesto idrogeologico, gli incendi e l’incuria nella gestione ambientale integrata (inquinamento da rifiuti, scarichi ed emissioni in atmosfera) ossia, in uno, alla riduzione dell’impronta ecologica dell’uomo sul suo habitat.

 

Proposte di intervento sostenibile

 

L’ambiente urbano oggi, più che mai, esprime una forte domanda di nuova ruralità dei suoi abitanti (tempo libero, qualità alimentare, ambientale e paesistica) e l’ambiente rurale, in forte conversione, è spinto, invero, verso una nuova multifunzionalità.

 

In questa prospettiva sia i piani aziendali che quelli rurali possono organizzarsi, integrarsi e sinergizzarsi, in modo che gli agricoltori, oltre che a produrre beni di mercato (alimentari ed energetici) possono produrre, contemporaneamente, beni e servizi pubblici (remunerabili in quanto tali).

 

La “transizione” ad “economie verdi” (cd green economy) si appaleserebbe, dunque, come apertura a diverse prospettive, in vista del raggiungimento degli auspicati obiettivi sociali e potrebbe contribuire, in maniera significativa, alla concreta creazione di posti di lavoro, con figure di alta professionalità, che, a loro volta concorrerebbero alla riduzione della povertà ed all’inclusione sociale, che sono le vere e più importanti sfide del XXI secolo.

 

A tali vantaggi si aggiungerebbero, inoltre, i risparmi derivanti dall’efficienza ambientale che potrebbero essere, così, reinvestiti in innovazione, il che consentirebbe di rafforzare, ulteriormente, le imprese e generare, quindi, più posti di lavoro, migliori e migliorabili, avvantaggiando tutti gli attori dell’economia reale: imprese e lavoratori (oltre che governo) locali; in particolare nei settori dell’agricoltura, delle ristrutturazioni edilizie, delle fonti energetiche rinnovabili, del riciclo delle risorse, della mobilità e del turismo.

 

Si può perentoriamente affermare, anzi, vista l’attuale portata della crisi ambientale, del petrolio e del lavoro,  che tale “transizione” non è da considerarsi una libera scelta ma una ineludibile necessità.

 

È, ormai, improrogabile riprogettare il territorio urbano ed extraurbano sulle basi della “autosostenibilità” e dell’“equilibrio vitale” (in tale contesto l’uso dell’abusato termine “decrescita”, risulterebbe, oltre modo, improprio).

 

Negli ultimi dieci anni, se è vero che i guasti dell’antropizzazione si sono aggravati, è pur vero che si è anche acuita la cognizione della “catastrofe ambientale”.

 

Bisogna avere la consapevolezza di rimettere “in valore” lo spazio pubblico attraverso nuove alleanze di comunità.

 

E’ essenziale il sorgere di una "coscienza di luogo" (di bio-quartiere o bio-città) che miri a tutelare i beni patrimoniali comuni come: la cultura, il folklore, il territorio, l’ambiente, il paesaggio urbano e rurale, il sapere e le produzioni locali.

 

Ogni agglomerato urbano deve avviarsi, in maniera consapevole ed autonoma, verso la transizione (cd transition towns), ossia verso la riduzione del consumo di risorse naturali, di energia e verso l'autosufficienza, sperimentando soluzioni edilizie bioecologiche, basate sull’uso di materiali derivanti dalle locali filiere agroforestali (cd green building), sull’integrazione strutturale ad una rete verde strategica ed ad una ecologica gestione ambientale integrata, delle risorse locali e dei rifiuti.

 

 

 

Analogamente, nell’interconnessa rete ecologica strategica, allo spazio rurale ed alle fasce costiere, sarà fondamentale ridare centralità e ruolo alle aziende agricole con politiche locali che, partendo dalle realtà territoriali esistenti e dalle vocazioni proprie dei luoghi, ne favoriscano la competitività e ne accentuino, nel contempo, il ruolo ambientale e di tutela paesaggistica, secondo una seria programmazione delle risorse pubbliche, meno polarizzata sugli ambiti urbani e costieri, che riduca il carico burocratico e favorisca l’uso di modelli ecologici partecipativi di uso, gestione ed intervento, basati su progettualità innovative.

 

E’ mia ferma convinzione che ognuna di queste “coscienze di luogo” vivrà, direttamente, le grandi opportunità che potranno aprirsi: la rinascita delle comunità locali, che produrranno cibo, energia e sistemi edilizi ecologici propri, a km 0, per mantenere la ricchezza lì dove verrà prodotta e migliorare le capacità pratiche dei cittadini, in modo che possano riprendersi il controllo del loro habitat e la dignità delle loro vite.

 

 

      


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